asteriscoParto dal fatto che non sto celebrando funerali e poche sono le chiamate in casa o fuori dal cimitero per una benedizione. Si rimane in contatto con alcune persone circa l'andamento della malattia di un familiare o si partecipa al dolore di una persona non legata alla nostra parrocchia. In questo caso assicuro il ricordo nella messa che si celebra a porte chiuse, in attesa di ciò che si potrà fare a breve, dopo il famoso 3 maggio. L'attenzione ai defunti credo sia una delle priorità, insieme ovviamente alla possibilità di accedere alla messa della domenica, pur con le dovute precauzioni.

Qualche sera fa suggerivo a persone di cui ho indirizzo, la visione del film "Departures" su TV 2000. Film visto anni fa e proposto in un cineforum per chi ama ancora il cinema. Nella vicenda, accompagnata da ironia e da molta poesia, veniva messo in luce la premura che esiste nella cultura giapponese per il corpo del defunto, preparato con cura per il Viaggio. Non si trattava nel film di una... agenzia di viaggi. Mi ha fatto piacere ricevere commenti positivi dopo quella visione cinematografica. La cultura giapponese è un mondo a noi lontano e forse un mondo che va sparendo nelle condizioni di vita attuali delle metropoli di quella nazione, eppure grande è il fascino di quella spiritualità.

Sull'avvicinarsi alla morte anche noi abbiamo qualche cosa da dire, dal momento che il nostro "fondatore" ha avuto a che fare con la tomba e, come dice un antico autore, "con la sua morte ha fatto morire la morte" (un gioco di parole, che spiega la Pasqua!).

La preparazione immediata alla morte per noi avviene nei sacramenti, in particolare nel sacramento degli infermi attraverso l'olio, già citato, per essere purificati e accompagnati nel viaggio che ha come meta il Padre, perché lì ci porta Gesù, il Figlio.

In questo tempo c'è l'impossibilità ai funerali nella forma "umana", con fatiche spirituali e psicologiche non indifferenti. Penso allora che i morti dovranno fare loro qualche cosa per i vivi sulla terra. La loro partecipazione alla Gerusalemme celeste (per stare ancora all'immagine biblica del libro dell'Apocalisse) obbliga loro a "fare qualche cosa per noi": curare le nostre ferite, asciugare il nostro pianto, levarci da eventuali sensi di colpa per non essere stati... per non aver detto... per non avere chiesto scusa... per non... ecc. ecc.

Proprio in mancanza dell'elemento umano fatto di lutto, di condoglianze, di partecipazioni, di gesti, di preghiere, di pensieri..., "dall'altra parte" potranno fare per noi in un modo che solo loro sanno e che ci è sconosciuto, ovviamente. E questo è sicuramente possibile perché "sono in Cristo" e Gesù non sta nella tomba di Gerusalemme ma credo che stia lavorando assai, se rimaniamo alle sue parole: "Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi. Ma ora io vengo a te e dico queste cose mentre sono ancora nel mondo, perché abbiano in sé stessi la pienezza della mia gioia".

Certo, quando sarà possibile (e speriamo a breve) la Chiesa dovrà aprire le porte per completare con i familiari quella liturgia che già i nostri morti vivono e a cui ci fanno accedere. Lo faremo per affetto, per giustizia, per la fede, per onorare la loro storia che è anche la nostra storia.

don Norberto