Siamo un popolo di migranti.
Una memoria condivisa per arrestare la deriva morale.

Alla fine è stato necessario l’intervento dei Vescovi italiani per trovare una soluzione alla vicenda della Diciotti.
Solo la disponibilità delle diocesi, ad ospitare nelle proprie strutture con il sostegno delle Caritas, i profughi ancora a bordo dell’incrociatore della Guarda costiera italiana, ha infine convinto il Governo a farli sbarcare.
Tuttavia, nonostante la Chiesa abbia dato uno sbocco accettabile ad una storia incresciosa, proprio come cattolici, membri cioè di quella comunità, non possiamo affatto rallegrarci né cantare vittoria.
Resta fortissima l’amarezza per le conseguenze culturali e morali che questa cocente sconfitta della politica ha avuto.
L’ennesimo braccio di ferro tra il nostro Paese e gli altri Stati europei, ingaggiato con cinismo sulla pelle di disperati, e in spregio ai doveri di accoglienza imposti dalla nostra Costituzione (la magistratura valuterà anche se in violazione della legge), non solo non ha sortito al momento alcun reale effetto concreto, ma ha inferto un altro duro colpo alla nostra capacità, come collettività, di saper guardare al bisogno di aiuto espresso da persone in fuga.
La condotta spregiudicata cui abbiamo assistito ha spinto ancora più in là il limite di quello che è lecito e non lecito fare e dire, continuando a far avanzare una generalizzata desertificazione delle coscienze da cui quella stessa condotta trae alimento, in un gioco di rispecchiamenti senza sosta.
Ne registriamo ogni giorno preoccupanti attestazioni specie sui social media, dove l’abitudine di scambiare la spontaneità per autenticità pare abbia eliminato ogni freno inibitore.
Solo per citare l’ultima è sconfortante prova che ci ha toccato da vicino, proprio nei giorni in cui si chiudeva il porto di Catania la morte di un giovane ospite, avvenuta in un centro di accoglienza nel Milenese, gestito da una nostra cooperativa, è stata accompagnata da inqualificabili commenti sulla pagina Facebook del quotidiano on line che ne aveva dato notizia: “Uno di meno da mantenere”, qualcuno si è permesso di scrivere.  
Ci stiamo avviando su una china pericolosa.
Dobbiamo risalirla, prima che sia troppo tardi. E per farlo abbiamo bisogno, come Paese, non di una propaganda a tempo indeterminato ma di una politica maiuscola, che sappia affrontare la sfida che i flussi migratori ci pongono con umanità e senso di responsabilità. Una politica che dia al nostro Paese il ruolo che gli spetta a livello internazionale e, in funzione di questo, sia capace di chiedere con forza la solidarietà degli altri Stati europei.
Alcuni esponenti dello stesso governo lo vanno sottolineando sempre più frequentemente. Purtroppo inascoltati.
In occasione della commemorazione della strage di Marcinelle, dove l’8 agosto 1956 trovarono la morte 262 minatori, tra cui 136 italiani, il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, ci ha, giustamente, invitato a ricordarci quando persone di altri Paesi ci chiedono accoglienza, che siamo stati una nazione di migranti, andati stranieri nel modo, in cerca di lavoro.
Ieri noi, oggi loro. Una frase potente, ricca di conseguenze, e che infatti non ha mancato di suscitare polemiche.
Eppure è proprio da questa memoria condivisa (e che qualcuno vorrebbe negare) che possiamo ritrovare un sentire comune e le risorse morali per affrontare il futuro.
Senza questa visione, l’inaridimento dei nostri cuori continuerà e troverà, dopo i migranti, altri obiettivi da colpire, a seconda delle occasioni che la smania del facile consenso saprà individuare: gli appartenenti ad altre fedi, gli esclusi, gli emarginati. In una deriva infinita.

Luciano Gualzetti
Direttore Caritas Ambrosiana

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1. Trovare adeguati momenti di silenzio. Amare il silenzio perché, come ci insegna­no gli antichi padri, è la fonte di tutte le virtù e della quiete interiore del cuore. Attenti però che per trovare la pace non basta allontanarsi dagli uomini. Dobbiamo purificare il cuore e la mente dai pensieri che vengono dal nemico. I grandi maestri spirituali insegnano che per rag­giungere la vera tranquillità del cuore occorre scacciare l'idea cattiva fin dal suo insorgere. La tranquillità del cuore il mondo non può darcela, dobbiamo conquistarla con l'aiuto della fede e della preghiera.
2. Visitare una chiesa non è solo turismo religioso, è far visita a Gesù. Per i cattolici, entrare in una chiesa nelle città turistiche è un dovere da non scordare. Le chiese, anche le più semplici, possiedono una bellezza speciale. Sono ordinate e architettonicamente ben pensate. Mentre scattiamo fotografie al loro interno, a volte dimentichiamo che Gesù stesso è lì, e che quella luce che lampeggia in fondo è il segno del fatto che ci aspetta. Il turismo religioso va bene, ma quando visitiamo una casa non ci accontentiamo solo di salutare il padrone. È anche bene dedicargli qualche minuto per sapere come va la sua vita e ringraziarlo per l’accoglienza che ci ha riservato.
3. Anche il vostro smartphone può tenervi collegati alla fede. Una delle cose più importanti del bagaglio è il caricabatterie per il telefono. Sapete che lo userete per scattare fotografie, cercare indirizzi, comunicare con i vostri cari – e i più fanatici controlleranno anche la propria posta elettronica per sapere se c’è qualche novità al lavoro. Alcune applicazioni, come la Bibbia o il breviario, possono aiutarci a non abbassare la guardia e a mantenerci sempre in una buona connessione spirituale con il Signore.
4. Approfittate del tempo per guarire le ferite. La velocità e l’intensità con cui svolgiamo i compiti durante l’anno lasciano delle ferite nelle nostre famiglie, soprattutto nei nostri matrimoni. È bene prendersi un momento di intimità per conversare, guarire quelle ferite e curarle reciprocamente. Prendersi quel tempo senza la fretta delle occupazioni domestiche sarà sicuramente molto utile.
5. Anche una buona lettura è preghiera. Ci sono occasioni in cui se non preghiamo sentiamo che non siamo collegati a Dio e alla nostra vita spirituale. È vero, pregare è importante, ma quando si va a letto tardi e ci si alza ancora più tardi, come succede in genere in vacanza, è difficile fare una buona preghiera. Dall’altro lato, molte persone portano in vacanza qualcosa da leggere. Vi invito a lasciare a casa per queste vacanze il romanzo d’amore o di suspense e a portare un buon libro che vi aiuti a crescere spiritualmente. Toglietevi dalla testa l’idea che la fede sia noiosa: le vite dei santi sono straordinari romanzi d’avventura.
6. Date a chi non ha. Imparate a vedere Gesù negli altri. Gesù è lì, in colui che soffre e se la passa male. Anche nei luoghi turistici ci sono persone di questo tipo, ma le luci, i locali commerciali, i negozi, i ricchi pasti e la spiaggia ci distraggono. Non perdiamoci in grandi proclami su gli ha bisogno ma purtroppo è molto lontano; prestiamo attenzione alle persone che incontriamo, in particolare agli anziani ed alle persone sole. Le vacanze sono una buona occasione per mettere in pratica le opere di misericordia corporali a cui la Chiesa continuamente invita.

Il mese di novembre, sentito perlopiù come un tempo malinconico, inizia in realtà nel modo migliore, con la celebrazione della solennità di tutti i santi.

San Bernardo di Chiaravalle dice: “Per parte mia devo confessare che, quando penso ai santi, mi sento ardere da grandi desideri”. I desideri e la santità? Possono stare insieme? Certo! La vita dei santi è una esistenza riuscita, compiuta, spesso passata attraverso prove. Se compresa bene, la santità è un ideale profondamente desiderabile al cuore dell’uomo e della donna anche del nostro tempo. Pensiamo solo a due santi canonizzati un anno fa: Madre Teresa di Calcutta, che ha saputo incarnare la misericordia di Dio attraverso una compassione profonda per tutte le persone emarginate; Ludovico Pavoni, che ha unito attenzione sociale, educativa e professionale.

Quante figure stupende ha la nostra Chiesa! Gianna Beretta Molla, Enrichetta Alfieri, Luigi Monti, Carlo Gnocchi, Luigi Monza, Luigi Talamoni e tanti altri. La solennità di tutti i santi ce li fa ricordare “insieme”, cioè come “comunione dei santi”. Infatti, una vita santa è sempre una “vita in relazione”. L’amicizia tra i santi è uno spettacolo di umanità. Questo ci ricorda che anche noi siamo fatti non per la solitudine ma per vivere in comunione gli uni con gli altri.

Da questa solennità discende una luce potente anche sulla commemorazione di tutti i defunti (2 novembre). Pensiamo ai nostri cari “passati all’altra riva”, preghiamo per loro, andiamo a far loro visita al cimitero, sostenuti dalla grande speranza che ha animato la vita dei santi: Gesù, crocifisso e risorto, ha vinto il male e la morte. Il filosofo Gabriel Marcel affermava: “dire ad una persona: ti amo, è come dire: tu non morirai”. Perché l’amore vince la morte. La speranza cristiana ha l’audacia di credere nella “risurrezione della carne”. E’ l’annuncio che tutto quanto abbiamo vissuto in questa vita non andrà perduto, sarà trasfigurato in Dio; ritroveremo i volti che abbiamo amato. I santi sono stati mossi da questa speranza; per questo hanno vissuto “alla grande” e ci invitano a fare lo stesso.

+ Paolo Martinelli
Vescovo e Vicario episcopale

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«Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28,20)
(Commenti a cura di alcuni giovani di Azione Cattolica, Comunione e Liberazione, Agesci, S. Egidio)

Dal sito della Diocesi di Milano:

http://www.chiesadimilano.it/pgfom/giovani/servizio-giovani/20-30enni/io-sono-con-voi-tutti-i-giorni-mt-28-20-meditazioni-quotidiane-sul-vangelo-di-quaresima-1.94603