Carissimi,
oggi dovremmo essere arrivati al capitolo terzo del Vangelo di Luca.
È la seconda volta che la lettura continuata del NT “ci regala un nuovo inizio”: come era stato per il passaggio dalla lettura del vangelo di Matteo a quello di Marco, così in questi giorni siamo passati dal racconto della Pasqua in Marco al vangelo dell’infanzia di Gesù in Luca e oggi al racconto dell’inizio della sua vita pubblica.
È davvero un regalo questo nuovo inizio oppure un semplice ripasso noioso di quello che già conosciamo? In fondo sappiamo bene come la storia va a finire: l’abbiamo appena riletta!
In realtà i Vangeli germinano proprio dalla raccolta delle testimonianze del “finale”, cioè della passione, morte e resurrezione di Gesù, che ne costituiscono il nucleo più antico; i credenti lo hanno custodito prima tramandandone oralmente il racconto e poi iniziando a redigerne un «resoconto ordinato» (Lc 1,3). Tale processo storico di composizione del libro attesta la prospettiva teologica con cui i discepoli hanno riletto e trasmesso la vicenda di Gesù: è l’incontro con il Crocifisso Risorto ad “aprire loro la mente” su tutta la vicenda di Gesù e a consentire loro di rileggerla alla luce della sua Pasqua e così di consegnarcela nello scritto. Gli indizi disseminati nel testo sono numerosi. Solo qualche esempio: a quell’«alloggio» (Lc 2,7) inospitale, negato dal suo popolo, corrisponderà una «stanza» (Lc 22,11: il vocabolo greco è il medesimo) preparata, ben allestita nella quale il Signore non cesserà di offrire tutto se stesso per i suoi nell’ultima cena, proprio come aveva appunto fatto fin dall’inizio, consegnandosi Bambino inerme; così la lunga sfilza di nomi che fa risalire la genealogia di Gesù fino addirittura ad identificarlo quale «figlio di Adamo, figlio di Dio» (Lc 3,38; a differenza di Mt che lo aveva innestato nel “tronco di Jesse” come «figlio di Davide, figlio da Abramo»: Mt 1,1), anticipa lo “squarcio dei cieli” che è per tutti, non solo per Israele, come dichiarerà guarda caso un pagano, il centurione romano, sotto la croce: «davvero quest’uomo era giusto» (Lc 23,47; lo stesso, nel vangelo di Mc, aveva ancora più nitidamente professato: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio»: Mc 15,39).
Allora forse più che la possibilità di un ripasso, il passaggio dal racconto della Pasqua all’inizio di un altro vangelo ci è donato per ricordarci ancora una volta da dove la storia comincia, da dove sgorga ininterrottamente: dall’amore tenace del Signore che sa trarre vita perfino dentro alla morte! Questo è il “finale”, o meglio, il compimento che ci è dato di tenere sempre davanti agli occhi, non solo per ripartire nella lettura della vicenda di Gesù, ma anche nella lettura della nostra vicenda personale “esposta” all’annuncio del vangelo, della buona notizia che tale compimento è riservato anche a noi e può illuminare ogni pagina della nostra vita.
Ce lo garantisce anche la lettura a cui siamo giunti oggi: in quel «la voce dal cielo: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”» (Lc 3,22) il Padre conferma, “applaude” la scelta di Gesù di non cercare scorciatoie, di non scegliere corsie preferenziali rispetto a quella di ogni altro uomo, in fila come peccatore davanti al Battista … e così farà rinnovando in lui la Vita, abbracciata come ogni uomo fino alla morte! E allora non è che forse quella voce dal cielo sia anche per noi? Non è che forse anche noi, proprio continuando a leggere il vangelo e a rileggere alla sua luce la nostra vita, possiamo scoprirci “figlia/o amata/o”?!
Buona lettura!
sr Anna Borghi