Mi capita di entrare in chiesa al mattino per aprire le porte e notare la lampada rossa del santissimo sacramento spenta. E’ la prima cosa che noto e che, per un certo verso, mi rattrista. Così, prima di illuminare la chiesa, prendo il nuovo cero e l’accendo subito quasi a scusarmi per quel tempo in cui il tabernacolo è rimasto al buio.
Il rosso vivo del cero che riprende la sua normale luminosità nel buio della chiesa, mi rasserena e mi fa riconoscere quel Tu presente, quasi quasi più di quando l’ostensorio è posto sull’altare.
Trovare la lampada rossa spenta, diventa la parabola di quando mi dimentico di lui, lo do per scontato senza accorgermi che lui continua a dire: “Il cero è spento, ma io comunque ci sono”.
Come se venisse richiamato, in un modo ancora più forte, la congiunzione avversativa “ma”, quella presente nel vangelo del 12 novembre o quella usata da Gesù nell’espressione “ma io vi dico”.
Il nuovo cero che riaccendo, chiedendo quasi scusa al Signore, ha circa la durata di una settimana illuminando di rosso il tabernacolo, luogo della presenza eucaristica di Gesù.
Certo è solo un cero in un contenitore rosso ma è molto più dei ceri bianchi che spesso si vedono nelle case.
Quella fiamma che di nuovo si muove indica che Lui rimane, ci attende, aspetta nel silenzio e nel nascondimento.
Il cero rosso diventa quasi una persona che in ogni istante, di notte e di giorno, rimane in adorazione diffondendo una calda luminosità. Mi piace, entrando in chiesa nelle prime ore del mattino, vederlo e, grazie a quella fiamma, salutare il Signore del mondo!
don Norberto