Lettura Nuovo Testamento – 33

“Un sacerdozio che non tramonta” (Eb 7,24)

 

Carissimi,

in questi giorni abbiamo iniziato la lettura della Lettera agli Ebrei. Dai primi versetti, il “prologo” (cfr. Eb 1,1-4), ci accorgiamo che non si tratta di una “lettera”, ma di “un’omelia”. L’autore (probabilmente, un ebreo, dottore della Tôrāh e insieme di cultura ellenistica, che scrive in un luogo e in un tempo molto difficili da determinare) annuncia che parlerà del «nome» del «Figlio», Colui che «dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della Maestà nell’alto dei cieli» (Eb 1,3). Dopo il “prologo”, nel quale l’autore inizia la propria predicazione affermando che Dio ci ha parlato nel suo Figlio, notiamo che l’omelia è suddivisa in cinque parti: una prima parte di cristologia generale (Eb 1,5-2,18) nella quale si afferma che “Cristo è il Figlio di Dio” (Eb 1,5-14) e, dopo una parte esortativa (Eb 2,1-4), che “Cristo è anche fratello degli uomini” (Eb 2,5-16): «della stirpe di Abramo si prende cura» (Eb 2,16). Comincia così la seconda parte dell’omelia (Eb 3,1-5,10) dopo che in Eb 2,17-18 ne viene annunciato il tema principale: Cristo è un sommo sacerdote degno di fede e misericordioso (i tratti generali di una cristologia sacerdotale). I tratti specifici di “Cristo come perfetto sommo sacerdote” sono argomentati nella terza parte dell’omelia (Eb 5,11-10,39). Nella quarta parte l’autore parla dell’unione a Cristo sommo sacerdote mediante la fede e la perseveranza (Eb 11,1-12,13), mentre nella quinta parte invita a una condotta retta nella ricerca della santità e della pace (Eb 12,14-13,18). Gli ultimi versetti contengono una benedizione finale, una dossologia e un biglietto di accompagnamento (Eb 13,19-25).

In questi giorni abbiamo ascoltato/letto quasi completamente le prime due parti. Nella prima si ricorda che il «Figlio», Dio con Dio, si è reso «partecipe» degli uomini, come “uno di loro”, e così per volontà del Padre si è reso per loro “causa di salvezza” «per mezzo delle sofferenze» (Eb 2,10). Non è possibile trascurare «una salvezza così grande» (cfr. intermezzo esortativo, Eb 2,1-4). Nella seconda parte viene così introdotto il tema principale dell’omelia: il sacerdozio di Cristo, «l’apostolo e sommo sacerdote della fede che noi professiamo» (Eb 3,1). Dopo che nella prima parte l’autore ha introdotto due eventi condivisi da tutti i fedeli, la glorificazione di Cristo (Eb 1,5-14) e la sua passione (Eb 2,5-16), cioè due fatti sui quali tutti quelli che ascoltavano erano d’accordo, ora vuole mostrare come questi eventi, fondanti la fede cristiana, hanno fatto di Cristo un sommo sacerdote. È un tema completamente nuovo: in nessun altro scritto neotestamentario viene attribuito questo titolo a Gesù Cristo.

La Lettera agli Ebrei si presenta come una meditazione rabbinica che ha risposto a un’importante obiezione che poneva il giudaismo al movimento nato dal Nazareno. Secondo la fede ebraica il Messia deve realizzare la profezia, la regalità e il sacerdozio. In effetti, Gesù era un “laico”, quindi, l’obiezione doveva essere posta in questi termini: “Come fate a dire che Gesù è il Cristo, il Messia, se non è sacerdote? Ha realizzato le funzioni profetiche e regali, ma non quelle sacerdotali, anche perché discendente da Giuda e non da Levi, cioè, dal capostipite dell’unico sacerdozio legittimo, quello ‘aronnitico’”. In risposta a questa obiezione, l’autore del nostro testo ha elaborato così una riflessione profonda e ironica che possiamo gustare nei prossimi giorni. Se è vero che il sacerdozio di Gesù non è aronnitico, l’autore, secondo una sapiente lectio dei testi biblici, fa risalire la legittimità del sacerdozio di Gesù alla vicenda dell’incontro di Abramo con il «sacerdote del Dio altissimo» Melchisedek (cfr. Gen 14,17-20): Gesù è sacerdote «secondo l’ordine di Melchisedek» (Sal 110,4; Eb 7,17), un sacerdozio precedente e superiore a quello levitico/aronnitico («egli [Levi], infatti, quando gli venne incontro Melchisedek, si trovava ancora nei lombi del suo antenato [Abramo]» Eb 7,10). Gesù, nella Sua Pasqua, ha esercitato il suo sacerdozio offrendo tutto il suo corpo sulla Croce, nell’ordine di Melchisedek, compiendo ogni sacerdozio: «Egli non ha bisogno, come i sommi sacerdoti, di offrire sacrifici ogni giorno, prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo: lo ha fatto una volta per tutte» (Eb 7,27).

Non possiamo in queste poche righe rendere ragione della bellezza e dell’importanza di questa grande omelia per la nostra fede. Ci basti dire che una riflessione seria e guidata di queste pagine è preziosa per la comprensione dell’annuncio cristiano e della nostra partecipazione al sacerdozio di Cristo e, quindi, del Suo amore e testimonianza. L’autore della Lettera agli Ebrei aveva a cuore la crescita della fede delle comunità alle quali parlava, così che vivessero in conformità al dono d’amore ricevuto. Una preoccupazione che spera essere feconda anche con noi e per noi.

Buon cammino,

don Davide Bertocchi

 

Prossima tappa: entro sabato 29 luglio la lettura della Lettera agli Ebrei.