Carissimi,
abbiamo cominciato in questi giorni la lettura degli Atti degli Apostoli e in particolare i primi sette capitoli. Se mettiamo a confronto i primi versetti del Vangelo di Luca (cfr. Lc 1,1-4) con i primi degli Atti (cfr. At 1,1-5) ci accorgiamo che Luca e Atti dovevano essere originariamente due tomi di un’opera unica e di uno stesso autore (Luca), che per vari motivi sono stati poi divisi e collocati dalla tradizione cristiana nella posizione che oggi conosciamo. Una scelta che non è casuale. Infatti, gli Atti raccontano la storia della salvezza giunta nella sua fase definitiva. Gli inizi della Chiesa sono strettamente legati al ministero di Gesù e all’evento pasquale della morte-risurrezione del Signore. Luca conclude il suo Vangelo con l’ascensione (cfr. Lc 24,50-53) e con lo stesso avvenimento apre il secondo tomo (cfr. At 1,6-11). E c’è una felice continuità anche con gli altri vangeli: i versetti di Gv 21 sono stati considerati da alcuni, e con ragione, gli “Atti degli Apostoli” secondo il Quarto Vangelo. Con Tommaso in Gv 20,19-29 si apre l’orizzonte sulla beatitudine di tutte le generazioni di coloro che “crederanno senza aver visto” (cfr. Gv 20,29), questione viva per Luca (che presumibilmente non ha mai incontrato Gesù), e quindi negli Atti, così come per tutte le generazioni successive fino a noi, che “crediamo senza aver visto”. Una posizione felice tra i libri neotestamentari in quanto gli Atti possono anche essere considerati il quadro narrativo nel quale collocare le successive lettere di Paolo.
Luca cerca di mostrare come lo sviluppo che ha portato alla nascita della Chiesa e al rifiuto di una parte del popolo di Israele, sia in continuità con la storia della salvezza. Negli Atti Gesù non è semplicemente presentato come anello di congiunzione tra le vicende di Israele, e in particolare, i profeti, e la prima Chiesa: Gesù è il compimento della profezia, un compimento che è iniziato nella sua Pasqua e sta continuando con la sua presenza di Risorto nella Chiesa. È insieme culmine e inizio. Nella fase terrena del suo servizio messianico Gesù si era limitato a operare entro la casa di Israele e per le pecore perdute della casa di Israele (cfr. Mt 10,5-6; Lc 9,52-56; At 3,25-26; 13,46). Ora, con il suo corpo glorioso, egli “sta in mezzo”, pronto a portare la sua missione a tutte le genti della terra, attraverso i discepoli che egli invia da Gerusalemme. La Chiesa diventa un’estensione sacramentale e visibile del Corpo del Risorto e la diffusione dell’annuncio dell’Evangelo «nel nome di Gesù Cristo» (At 3,6) diventa la moltiplicazione della presenza del Risorto a tutti gli uomini. Il primo e vero missionario è Gesù Risorto che con il suo Spirito guida la sua chiesa: Cristo vive nei suoi discepoli e, attraverso di essi, raggiunge tutta l’umanità. Infatti, la Chiesa dovrà innanzitutto aspettare in città il dono dello Spirito Santo (cfr. At 1,4-5). Sarebbe meglio dire che Gesù “continua a salire al cielo”, perché Lui e il Padre vogliono portare con loro (“in cielo”) ogni uomo e donna della storia, mentre continuano a “effondere lo Spirito sulla Chiesa” perché finalmente si compia questo desiderio di comunione. Questo libro si potrebbe infatti chiamare: “Atti di Gesù Cristo assunto in cielo e dello Spirito Santo operante nella Chiesa per il mondo”.
Le ultime parole di Gesù agli apostoli prima di sottrarsi ai loro occhi sono state infatti: «Di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria fino ai confini della terra» (At 1,8). Un versetto da molti considerato programmatico di tutto il libro. Da Pietro, attraverso l’episodio di Cornelio (cfr. At 10) e l’assemblea di Gerusalemme (cfr. At 15), si arriva poi al ministero di Paolo, apostolo delle genti. Vedremo come gli Atti si chiudono con l’arrivo di Paolo a Roma, con un finale che in realtà rimane aperto: tra Roma e i confini della terra c’è un vuoto occupato da tutta la storia della Chiesa lungo i secoli, fino a noi.
In questi primi sette capitoli possiamo notare un ritornello che più volte si ripete nella narrazione e che può essere considerato un filo rosso nell’intero libro: «la Parola di Dio si diffondeva» (At 6,7). Alcuni esegeti strutturano gli Atti proprio a partire da questo ritornello (cfr. At 12,24; 15,35; 19,20; 28,31). Nonostante il male e le resistenze che subito contrastano la missione della Chiesa, la corsa della Parola non si arresta. C’è il male-malattia (lo storpio, cfr. At 3,1-25), c’è il male subito (la persecuzione, cfr. At 4-5), il male commesso (Anania e Saffira, cfr. At 5,1-11) e il male-tentazione all’interno della comunità (la mormorazione, cfr. At 6,1-6). Nonostante tutto questo, la “Parola cresceva”, lo Spirito accompagna con pazienza la sua Chiesa. E non è una Chiesa ideale… Vive le contraddizioni della storia che anche noi viviamo. Ma la Parola non si ferma… La prima comunità insieme ascolta l’insegnamento degli Apostoli e spezza il pane con perseveranza (cfr. At 2,42-48; 4,32-35). E dalla prima comunità viene la testimonianza di Stefano, il primo martire (cfr. 6,8-7,60).
Nonostante le nostre resistenze e contraddizioni, la corsa del Vangelo non si arresta. Dopo venti secoli, ne stiamo parlando, la leggiamo, la ascoltiamo, la facciamo risuonare e desideriamo esserne testimoni. Anche noi missionari, fragili e incostanti, fino al compimento.
Buon cammino,
don Davide Bertocchi