Lettura Nuovo Testamento – 21

“Nulla ci separerà dall’amore di Dio”

Carissimi,
oggi dovremmo essere arrivati al capitolo 14 della Lettera ai Romani. Immaginiamo che non sia facile la lettura di questi testi. Eppure, la testimonianza dell’apostolo Paolo è una fonte primaria per la comprensione dell’esperienza cristiana. In particolare, la Lettera ai Romani è fondamentale per la teologia: ha svolto e svolge un ruolo essenziale nelle opere dei Padri della Chiesa, fino al pensiero teologico del secolo scorso e dei nostri tempi. La sua interpretazione è decisiva nel dialogo ecumenico e per ogni rinnovamento della Chiesa che non può prescindere da ciò che la ha generata. Recentemente, abbiamo anche assistito a una riscoperta di questo testo anche dal cosiddetto mondo laico.
A differenza di altre lettere paoline, in molti casi scritte per affrontare con urgenza dei problemi che si erano creati in una comunità fondata da Paolo, l’epistola si presenta come una riflessione approfondita dell’Apostolo, quasi come se Paolo, in quel momento della sua vita, volesse chiarire, anche a sé stesso, il significato di ciò che da anni andava annunciando per il mondo. Prima di lasciare Corinto per andare in Giudea, Paolo scrisse ai Romani per annunciare la sua visita e la sua permanenza fra di loro. Dopo aver fondato le sue chiese in Asia Minore e in Grecia, era desideroso di predicare il Vangelo anche a Roma (la comunità più importante e interessante del mondo occidentale), mostrando così le “proprie credenziali”, e accreditarsi come apostolo per l’evangelizzazione della Spagna, confine estremo dell’Impero, ben collegata con le province romane d’Occidente e culla della cultura emergente all’epoca (il processo di “ispanizzazione” della cultura romana è ormai un fatto storico documentato; tra gli altri, Seneca, Lucano, Marziale, Porcio Latrone, Quintiliano, fino all’imperatore Traiano erano di origine iberica). Un incontro positivo con i cristiani di Roma avrebbe avuto un effetto favorevole sulla persona di Paolo e sui suoi progetti missionari in Spagna.
L’Apostolo affidò alla lettera il compito di presentare sé stesso e il suo modo di intendere il Vangelo: tracciò l’intero percorso del suo cammino di fede, mettendosi totalmente in gioco, affinché la Comunità di Roma conoscesse i risultati del suo percorso spirituale, gli potesse concedere massima fiducia e offrire sostegno spirituale e materiale. E tutto questo per il suo incontenibile desiderio di annunciare Gesù Cristo a tutti (Giudei e Gentili), scopo primario della sua esistenza, nella speranza di attivare una mutua collaborazione e sinergia tra Gerusalemme e Roma.
Infatti, dalla struttura interna della lettera ci accorgiamo di questa intenzione di Paolo. Notiamo che è suddivisa in due parti: la prima parte è teologica e la seconda è parenetica. Dei sedici capitoli complessivi, i primi undici costituiscono la parte teologica e fondativa, rispetto ai tre successivi delle esortazioni, che sono conseguenza della parte fondamentale.
Come già ben spiegato nel contributo della settimana scorsa, dopo l’indirizzo di saluto in cui Paolo si presenta (Rm 1,1-7), l’Apostolo si lancia in un esordio che introduce alla posta in gioco della lettera, cioè il Vangelo, di cui Paolo non si vergogna e che porta alla salvezza i Giudei e i Greci (i Gentili), rivelando la giustizia di Dio (Rm 1,16-17). Inizia così una lunga argomentazione che espone, per ben otto capitoli, il nucleo centrale della fede, vale a dire l’impossibilità di salvarsi da soli, pur avendo la legge (Rm 1,18-3,20), e la necessità di accogliere nella fede la giustizia gratuita di Dio (Rm 3,21-31), che, attesa e trasmessa di fede in fede (Rm 4,1-23), è stata realizzata per mezzo di Cristo, morto e risorto (Rm 4,25).
La conseguenza di questo evento consiste nella nuova condizione dei figli di Dio inseriti in Cristo e in attesa del compimento ultimo (Rm 5-8). Lo sbocco di questa sezione è il riferimento al mistero di Israele come alla radice che porta alla salvezza e che entrerà nella dimora alla fine (Rm 9-11).
Coloro che vivono in Cristo sono poi esortati (seconda parte, quella parenetica) a rendere visibile questa appartenenza nelle relazioni reciproche mediante il culto (Rm 12,1-21), la giusta relazione con le autorità (Rm 13,1-14) e il rispetto evangelico dei forti di fronte ai deboli (Rm 14,1-15,13). La lettera si conclude con una sintesi che muove gli affetti dei destinatari (Rm 15,14-21), i propositi dell’Apostolo (Rm 15,22-33) e il capitolo conclusivo dei saluti (Rm 16).
Dal palese sbilanciamento quantitativo tra le due parti, si evince che l’Apostolo concentri la sua attenzione sul fondamento dell’esperienza credente: l’amore di Dio che per noi ha dato suo Figlio giustificandoci gratuitamente per grazia (Rm 3,28). Appare, quindi, chiaro che Paolo è interessato a fare un discorso sui fondamenti della fede più che sulle sue sovrastrutture, sul seme più che sui frutti, sull’essere più che sull’agire. Potremmo dire che, fin dall’organizzazione interna della Lettera ai Romani, l’Apostolo insegna a non anteporre il “dover fare” all’“essere” nella vita dei credenti. Infatti, la sua esperienza di comunione con Dio in Cristo, lo porta a uno dei punti più alti della sua testimonianza su ciò che costituisce il credente, prima di ogni sua opera: «Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8,38-39). Per il Giudeo, come per il Greco …
Buon cammino,

don Davide Bertocchi

Prossime tappe: sabato 6 maggio dovremmo arrivare al termine della Lettera ai Romani, per passare poi, sino a lunedì 22 maggio, alla Prima lettera ai Corinzi.