Lettura Nuovo Testamento – 26

“La forma debole del Figlio è la nostra forza!”

Carissimi,
oggi dovremmo essere arrivati al capitolo decimo della Seconda lettera ai Corinzi.
Come già posto in evidenza la scorsa settimana, la relazione epistolare tra l’Apostolo Paolo e la comunità di Corinto risuona dei loro non sempre lineari rapporti. È tuttavia difficile ricostruire con esattezza cosa avvenne, anche avvalendosi dei dati degli Atti degli Apostoli. In realtà, tale narrazione riferisce di sole due visite dell’Apostolo a Corinto, a cui invece la lettera che stiamo leggendo aggiunge una terza (2Cor 12,14; 13,1). È ipotizzabile che durante il primo ritorno a Corinto, l’Apostolo fu così duramente fronteggiato da un «tale» (cfr. 2Cor 5-11), che i rapporti con la comunità si incrinarono; una volta ripartito, egli scrisse una lettera «tra le lacrime» (2Cor 2,4) ‒ a noi non pervenuta ‒ che sortì l’effetto positivo di rinsaldare i rapporti e portare consolazione all’Apostolo. Questi sentimenti sembrano accompagnare i primi sette capitoli della 2Corinzi. In 2Cor 1,12-14 Paolo ne enuncia la tesi generale: la sincerità sempre manifestata ai Corinti. Egli cerca quindi di dimostrare quanto dichiarato, innanzitutto con una narrazione dei fatti (2Cor 15‒2,13) volta a giustificare alcune sue scelte e i cambi di programmi, a chiarire il più possibile il proprio comportamento così da recuperare i rapporti con la comunità. In un secondo momento (2Cor 2,14‒6,10) svolge invece un’argomentazione a favore dell’origine divina del suo apostolato. Interessanti sono i termini con cui presenta i missionari con lui: servitori, ministri, collaboratori, ambasciatori di riconciliazione… senza nascondere affatto la propria fragilità, la propria debolezza… come «vasi di creta», depositari di un preziosissimo «tesoro» (2Cor 4,7).
I capitoli 8 e 9 sono invece riservati alla ripresa della colletta per le comunità di Gerusalemme come gesto di generosità e solidarietà, di profonda comunione tra le Chiese… e, in ultima analisi, come partecipazione alla forma del Figlio che «da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2Cor 8,9), cioè ci ha paradossalmente arricchiti della capacità di farci poveri perché altri possano arricchirsi: non è un gioco di parole, ma lo stravolgimento della logica di Dio!
All’inizio di 2Cor 10 i toni cambiano improvvisamente e radicalmente e l’Apostolo passa a istituire un’articolata apologia della propria autorità apostolica, che sembra ancora una volta messa in discussione dai Corinti, abbindolati da alcuni definiti con un certo sarcasmo «superapostoli» (2Cor 11,5). È plausibile che un’altra crisi sia intercorsa con la comunità di Corinto e che questi ultimi capitoli pertanto siano stati in origine uno scritto autonomo e successivamente trasmesso redazionalmente unito ai precedenti.
Paolo sembra indotto dalle accuse che egli stesso riporta (2Cor 10,1-2.10) a difendere l’origine divina della propria autorità apostolica (2Cor 11,5-6) attraverso la strategia retorica abilmente messa in campo dell’elogio paradossale di sé. Egli si vanta innanzitutto della gratuità con cui svolge il proprio ministero (2Cor 11,7-15), segno della sua paternità nei confronti dei Corinti; e poi come un «pazzo» (2Cor 11,16), come uno scriteriato, si concede al confronto con gli avversari: ribaltando i loro criteri, elenca prima le proprie res gestae (2Cor 11,22-29) e poi le esperienze mistiche (2Cor 12,1-6), entrambe concluse con la sottolineatura della propria debolezza (2Cor 11,30-33; 2Cor 12,7-9) e con l’espressione che riassume il suo vanto paradossale: «Mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo» (2Cor 12,9)! L’autorità apostolica di Paolo ha fondamento solo nella chiamata di Dio, non certo nella sua forza, nelle sue capacità retoriche, anzi nella sua debolezza paradossalmente risplende ancora di più la potenza di Colui che lo ha chiamato e inviato a Corinto! E tale logica non è che ‒ ancora una volta ‒ conformazione a quella del Figlio, che «fu crocifisso per la sua debolezza, ma vive per la potenza di Dio» (2Cor 13,4).
Forse distanti sembrano le questioni affrontate, forse ancora più distanti ‒ se non per qualcuno addirittura fastidiosi ‒ il linguaggio e le strategie retoriche a cui Paolo ricorre, eppure estremamente prezioso per ciascuno di noi e per la Chiesa di oggi il “metodo” dell’Apostolo: solo Cristo, solo la vita e le scelte del Figlio sono autentica “forma” da ricercare… e da chiedere per la propria vita e per la vita della Chiesa!
Buona lettura!

sr Anna Borghi

Prossime tappe: domenica 4 giugno dovremmo concludere la lettura della Seconda lettera ai Corinzi, per passare poi alla Lettera ai Galati (da leggere entro sabato 10 giugno).