Lettura Nuovo Testamento – 25

“Paolo e i Corinzi: una storia travagliata e appassionata”

Carissimi,

in questi giorni abbiamo concluso la Prima Lettera ai Corinzi e iniziato la lettura dei primi capitoli della seconda. Per accompagnare l’ascolto di questi testi, vale la pena soffermarsi sul contesto che ha spinto Paolo a un intenso scambio epistolare con questa comunità che, oltre le due lettere canoniche, è stato caratterizzato dall’invio di almeno altre due lettere andate perdute.

Il capitolo 18 degli Atti racconta che l’apostolo giunse a Corinto dopo la difficoltosa permanenza ad Atene (cfr. At 17,15-34). Fu accolto da un giudeo di nome Aquila e dalla moglie Priscilla (arrivati da poco dall’Italia), con i quali lavorava come fabbricante di tende, predicando di sabato ai giudei e ai greci che si riunivano nella sinagoga. Dopo le prime resistenze alla sua predicazione nella sinagoga, Paolo si spostò nella vicina casa del “timorato di Dio” Tizio Giusto e allargò la sua missione ai gentili ottenendo un certo consenso da chi non apparteneva all’etnia ebraica. Troviamo, infatti, nei testi che parlano della comunità di Corinto nomi, soprattutto, greci o italici. Ci sono studi che hanno cercato di determinare la stratificazione sociale della comunità di Corinto, facendo emergere una composizione in cui probabilmente erano presenti ben poche persone appartenenti ai gradini più elevati (patrizi, proprietari fondiari) e più bassi (schiavi) della scala sociale dell’epoca. Sembrerebbero cioè mancarvi persone che non avevano nulla da aspettarsi dalla vita, anche se per motivi opposti: i primi avevano tutto, i secondi non potevano sperare in un miglioramento. Paolo aveva allora probabilmente trovato terreno fertile in persone che, pur diverse nella condizione sociale ed economica, vedevano nella sua proposta alternativa e paradossale l’opportunità di un cambiamento. Nel passo di 1Cor 1,26-29 Paolo descrive la comunità in questo modo: «Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio». Questi termini venivano utilizzati dagli antichi scrittori greci per distinguere le classi nobili da quelle più umili. La loro conversione a Cristo, però, non significava che gli usuali modelli di comportamento propri delle città greche del tempo non incidessero sulla vita comunitaria: Paolo si trovò costretto a rimproverare alcuni membri più ricchi che approfittavano della sudditanza di quelli più poveri per umiliarli (cfr. 1Cor 11,21-22) e per ricercare potere nella chiesa, scatenando gelosie e fazioni (cfr. 1Cor 1,12; 3,3-4). Anche la disponibilità degli spazi fisici per le riunioni non aiutava, perché la maggior parte delle case non era probabilmente in grado di accogliere contemporaneamente tutta la comunità. I Corinzi, quindi, si radunavano solitamente in piccoli gruppi: tante chiese domestiche che, rimanendo perlopiù isolate, non erano facilitate nella comunione.

Paolo partì da Corinto, probabilmente dopo l’estate del 52 d.C., e si mise in viaggio verso Efeso. Se seguiamo la narrazione del libro degli Atti, dopo poco più di un anno e mezzo di permanenza a Corinto, Paolo si spostò a Cencre per poi partire verso Efeso e, quindi, ritornare ad Antiochia di Siria, dopo essere passato da Cesarea Marittima e Gerusalemme (cfr. At 18,18-22). La realtà composita della comunità corinzia, il successivo arrivo di altri evangelizzatori, insieme ad altri fattori che diventa difficile delineare, alimentarono dubbi nella fede, contrasti, scandali fino alla divisione in fazioni interne, costringendo Paolo a intervenire e a ritornare più volte di presenza e per iscritto. È in questo contesto che Paolo iniziò a inviare diverse lettere (la questione di quante possano essere le lettere inviate ai Corinzi è ancora molto dibattuta tra gli studiosi). Di una prima lettera, inviata da una località sconosciuta e andata smarrita, ne fa menzione Paolo in 1Cor 5,9-11. Più in dettaglio, sembrerebbe che, dopo aver lasciato Corinto, Paolo abbia saputo dell’arrivo di altri evangelizzatori e dell’entusiasmo con cui i Corinzi li avevano accolti e avrebbe allora inviato una prima lettera in cui li invitava a fare attenzione. Mentre risiedeva ad Efeso, ricevette notizie da alcuni della famiglia di Cloe (cfr. 1Cor 1,11) e contemporaneamente una lettera da parte dei Corinzi (cfr. 1Cor 7,1) anch’essa andata smarrita. Probabilmente, ciò gli permise di comprendere che la sua prima missiva non era stata capita. A quel punto, per spiegarsi meglio, Paolo scrisse un’altra lettera consegnata a mano da Timoteo che sarebbe la nostra 1Cor canonica (cfr. 1Cor 4,17) di ben 16 capitoli, sulla questione dell’unità. Dopo questo evento Paolo per qualche grave motivo che non conosciamo, fu costretto a tornare a Corinto con tristezza (cfr. 2Cor 2,1) affrontando un lungo viaggio. Questa visita fu un insuccesso, perché alcuni misero in discussione la sua autorità di apostolo in quanto nella prima lettera aveva accennato che sarebbe andato dai Corinzi con il bastone (cfr. 1Cor 4,21), ma arrivato nella città era stato debole (cfr. 2Cor 10,1.10b). È accusato di non essere all’altezza: mostra forza quando scrive, ma è impacciato nel parlare quando è presente. Paolo, profondamente deluso, lasciò Corinto e ritornò a Efeso per una pausa di riflessione. Così scrisse loro una nuova lettera, detta “lettera delle lacrime”, anch’essa andata perduta, dura e passionale (cfr. 2Cor 2,3-4; 7,8-9). In essa Paolo cercava di mostrare come il forte rammarico che provava, derivasse dall’amore che nutriva per loro. Dopo questi eventi l’apostolo partì da Efeso (estate 57) per la Macedonia, dove ricevette Tito – che intanto si era fermato a Corinto – che portò buone notizie riguardo ai Corinzi, segno che la “lettera delle lacrime” aveva colto nel segno. A quel punto Paolo rispose immediatamente dalla Macedonia (probabilmente, Filippi) con una quarta lettera, l’attuale 2Cor, inviata tramite lo stesso Tito per chiarirsi ulteriormente con la comunità e per invitare i Corinzi alla colletta in favore della Chiesa di Gerusalemme (estate 57). Infatti, prima di andare a Gerusalemme, tra il 57 e il 58 Paolo si fermò ancora tre mesi a Corinto.

Da questa breve sintesi e al di là delle diverse ipotesi ancora oggetto di forti discussioni tra gli esegeti, si evince comunque che le due lettere canoniche rappresentano soltanto una parte dell’intenso scambio epistolare tra Paolo e la comunità di Corinto, riflesso del travagliato e appassionato rapporto tra Paolo e questa comunità.

Gli ultimi capitoli della 1Cor completano l’accalorata argomentazione di Paolo circa l’essere “unico corpo” in Cristo dei credenti: una sezione è sui doni e le manifestazioni dello Spirito (12,1-14,40) e quella successiva sulla risurrezione di Cristo e dei credenti (15,1-58). La lettera si conclude prima con una parte esortativa (16,1-18: il richiamo alla colletta per la chiesa di Gerusalemme, i prossimi progetti e le ultime raccomandazioni) e poi con i saluti finali, l’autenticazione del mittente, la benedizione e una commovente e affettuosa conclusione (16,19-23).

Uno dei motivi principali della divisione tra i Corinzi era legato alle discussioni su chi di loro possedesse i carismi più grandi. Paolo, dopo aver introdotto la questione in 1Cor 12,1-11, offre una delle argomentazioni apicali della lettera (vv. 12-31). Dopo aver mostrato (12-27) come si realizzi l’unità nella diversità secondo il cuore di Dio, può nell’assemblea affermare in modo perspicuo che la vita della comunità e dei suoi membri non dipende dal possesso dei singoli carismi, più o meno grandi: i carismi sono da viversi nel servizio e nel sentire propria la vita dell’altro, un modo di vivere divino che ha precisi risvolti quanto ai rapporti con gli altri. La conclusione sui carismi, che poi riprenderà in modo diffuso nel cap. 14, è un’applicazione pratica su cosa significhi fare unità nella diversità in rapporto con il Dio fonte della vita. Al v. 31 («anzi, vi mostro una via ancora più sublime») Paolo introduce ciò che svolgerà nel cap. 13 e che, finalmente, dà il nome a ciò che anima il cuore pieno di gioia di Dio: la carità. La “via” che dà il nome al servizio e al sentire propria la vita dell’altro è l’amore di Cristo e, quindi, ciò che muove il cuore di Dio e fa crescere l’unione nella diversità secondo le concrete declinazioni del bellissimo inno di 1Cor 13. Infatti, l’ambizione di avere i carismi più grandi è esattamente l’opposto della carità. La “via” di questo modo di vivere che dà vita, e che è la vita stessa, si chiama agape (carità/amore). Un’esperienza di vita nell’amore non effimera e feconda: una vita che non finisce (cap. 15).

Nella Seconda lettera ai Corinzi l’Apostolo ripercorre il lungo itinerario relazionale con la comunità, fondato sulla condivisione della fede e sull’appartenenza reciproca a Cristo. Vuole dare così una risposta positiva ad una comunità che ha manifestato di aver compreso di essere stata la causa della sua precedente sofferenza apostolica. Nei primi capitoli Paolo ci informa sugli antefatti e comincia a difendere il suo ministero e il suo servizio apostolico da tutte le accuse esterne. Infatti, dopo aver annunciato in 1,12-14 il tema principale della lettera, comincia da 1,15 (fino a 7,16) una vera e propria teologia del ministero apostolico.

Buona continuazione,

don Davide Bertocchi

Prossima tappa: domenica 4 giugno dovremmo concludere la lettura della Seconda lettera ai Corinzi.