Lettura Nuovo Testamento – 22

Introduzione alle lettere di Paolo: un’eredità complessa e imprescindibile della fede

Degli scritti del Nuovo Testamento quasi la metà (21 su 27) sono lettere; di queste, ben 13 sono identificate come paoline (Lettera ai Romani; 1‒2 Corinzi; Galati; Efesini; Filippesi; Colossesi; 1‒2 Tessalonicesi; 1‒2 Timoteo; Tito; Filemone). Considerando che nell’antichità le lettere erano sostanzialmente l’unica possibilità di comunicazione a distanza, si comprende la molteplicità e diffusione che ebbero per mantenere la relazione tra Paolo, gli altri missionari e le comunità. L’Apostolo, infatti, scrive per lo più alle Chiese fondate da lui (a parte la Lettera ai Romani) o ad alcuni dei suoi collaboratori responsabili di comunità (le cosiddette Lettere pastorali) per continuare ad accompagnare nella fede nel Signore Gesù, già annunciato e ancor prima incontrato a Damasco dallo stesso Paolo. Circostanze nuove, successive alla prima evangelizzazione, sollecitano questioni nuove, che chiedono di essere affrontate alla luce del Vangelo: a ragione sono state definite “lettere occasionate”, cioè scritti legati a situazioni peculiari, a volte sottoposte all’interrogazione dell’Apostolo da parte della comunità a cui egli risponde (come ad esempio accade nella seconda parte della Prima lettera ai Corinzi: 1Cor 7‒14); a volte è lo stesso Paolo che avvia l’interazione, per discernere le diverse circostanze alla luce della sapienza del Vangelo (come ad esempio nella prima parte della medesima lettera dove affronta le divisioni interne alla comunità, plausibilmente legate all’arte oratoria dell’uno o dell’altro predicatore, riportando i credenti davanti alla debolezza della Parola della croce, nella quale si dispiega la potenza di Dio: 1Cor 1‒4).

A motivo della genesi degli scritti, non possiamo cercarvi una teologia esposta sistematicamente, come in un manuale di teologia, ma piuttosto l’elaborazione di cosa comporti la fede di Gesù Cristo nella concretezza della vita dei credenti. Ad esempio, una delle complesse questioni che l’Apostolo deve affrontare in diverse occasioni è quella Legge Mosaica: cosa ne è ora che Dio ha rivelato la propria «giustizia per la fede di Gesù»? Abbiamo letto che nella Lettera ai Romani, indirizzata a una comunità costituita da credenti provenienti sia dal giudaismo che dal paganesimo, egli cerca di persuadere i propri interlocutori della necessità della fede di Gesù per tutti, «per il giudeo come per il greco», polarità che spesso ritorna nella lettera, per indicare la duplice appartenenza etnica. Invece, nella Lettera ai Galati, cioè per una comunità essenzialmente di origine pagana, indotta a chiedere la circoncisione e, con essa, l’adesione alla Legge Mosaica, è impegnato a sostenere che la fede di Gesù è sufficiente in ordine alla salvezza e che voler osservare la Legge significherebbe accollarsi un giogo da cui Gesù già ha liberato. In ultima analisi, quindi, le lettere contengono elaborazioni articolate, complesse, per quanto nell’insieme coerenti, determinate dalla comunicazione che intendono perseguire.

In tal senso le lettere di Paolo non sono “semplici” scritti tra soggetti distanti, ma rappresentano una vera e propria forma di “comunicazione persuasiva”: l’Apostolo deve impegnarsi spesso in articolate argomentazioni a sostegno delle proprie posizioni… e spesso lo fa enunciando la propria “tesi” in un’espressione piuttosto stringata, concisa (e per questo piuttosto criptica) che necessita di essere “dipanata” in una disposizione che “tesse insieme” diversi passaggi argomentativi.

Per tale motivo, se negli scritti sono facilmente rintracciabili elementi tipici delle lettere come un prescritto (con mittente e destinatari) ed un postscritto (con saluti, ringraziamenti e preghiere), che incorniciano il corpo vero e proprio della lettera, è altrettanto possibile rinvenire strategie tipiche della retorica classica o del modo di argomentare giudaico, proprio dei rabbini con le quali l’Apostolo ha elaborato e disposto il testo, a sostegno delle proprie affermazioni. Spesso, ad esempio, nel prescritto Paolo intreccia agli elementi tipici dell’epistolografia sopraindicati l’enunciato tematico, la “tesi” dicevamo, che andrà poi a comprovare nei passaggi seguenti, trasformando il prescritto in un vero e proprio esordio, che dispone l’interlocutore alla lettura che segue per comprendere le affermazioni dichiarate. Oppure, altrettanto spesso, prima di chiudere lo scritto, Paolo ricapitola le argomentazioni addotte e, usando un registro relazionale, muove gli animi dei destinatari per guadagnarli al proprio punto di vista nella forma di una vera e propria perorazione, tipica dei discorsi dei retori. Se rimane vero, infatti, che la retorica antica era per lo più l’arte della persuasione oratoria, ciò non impediva di impiegarla nella stesura di testi come le lettere, in cui l’Apostolo aveva spesso la necessità di portare i destinatari verso la propria posizione oppure di confutare quella di altri – che con le loro parole avrebbero potuto allontanare i fedeli dalla fede autentica in Gesù – o, ancora, di incoraggiare, consigliare e difendere i credenti o, piuttosto, di biasimare, accusare o disapprovare la loro condotta… e molto altro….

Per l’insieme di queste ragioni, seguire l’argomentare dell’Apostolo può risultare talvolta “arduo”, spesso meno immediato dell’ingresso in una narrazione come quella evangelica, eppure non meno “interpellante”, non meno coinvolgente nei confronti del lettore, anche di noi lettori di oggi: le sue lettere ci consentono di essere come nuovamente “esposti” alla predicazione apostolica, che ‒ configurata nel testo ‒ ci sollecita ad aprirci, a lasciarci raggiungere anche oggi dalla plausibilità dell’annuncio evangelico perché la nostra vita ne venga riconfigurata, ossia perché anche la nostra vita assuma la “forma del vangelo”! In fondo lo stesso Paolo, dopo aver evangelizzato le comunità, continua a scrivere loro perché la Grazia dell’incontro con il Risorto non smetta di dispiegare la propria potenzialità di Vita nella vita dei credenti: noi e loro possiamo allo stesso modo “esporci” alla fecondità dell’annuncio della Vita dei figli nello Spirito del Figlio Risorto.

La medesima dinamica sottende a quelle lettere che la tradizione ha attribuito a Paolo, ma che la maggior parte degli studiosi individua oggi come pseudoepigrafiche (2Ts; Col; Ef; 1‒2Tm; Tt). Nell’antichità il fenomeno della pseudoepigrafia, cioè l’attribuzione dell’opera a un autore fittizio, era frequente e rappresentava la volontà di legame con lui, nel caso delle lettere di Paolo esprime anche la volontà di attualizzarne il messaggio nelle nuove situazioni ecclesiali: alcuni suoi seguaci, non volendo discostarsi dal suo insegnamento, lo reinterpretano e lo orientano ad alimentare la vita dei credenti loro contemporanei.

La “non immediatezza” delle lettere paoline non deve scoraggiarne la lettura; noi siamo, per altro, avvantaggiati dalla cornice narrativa degli Atti degli Apostoli, di cui già disponiamo, e alla quale possiamo tornare per ricostruire il contesto delle lettere e approfondire la comprensione della vita delle prime comunità cristiane.

Da ultimo, per una presentazione panoramica e allo stesso tempo puntuale, è possibile far riferimento, fra la sterminata bibliografia, a:

Stefano Romanello, Paolo. La vita – Le Lettere – Il pensiero teologico, San Paolo, Cinisello Balsamo 2018.

Franco Manzi, Introduzione alla Letteratura Paolina, EDB 2018, Bologna 2015.

Buona lettura, buona immersione nella concretezza e profondità della vita dei credenti!

sr Anna Borghi