Lettura Nuovo Testamento – 34

L’umanità di Gesù: «via nuova e vivente»

 

Carissimi, oggi dovremmo aver quasi completato la lettura della Lettera agli Ebrei.

Come già abbiamo visto nella mail della scorsa settimana, non siamo in ascolto di una lettera vera e propria, ma piuttosto di una meditazione rabbinica attorno al singolare compimento del sacerdozio in Gesù di Nazareth… che sacerdote, secondo l’ordine di Aronne, non era affatto!

Stiamo varcando la lettura della terza parte dell’omelia, quella centrale (Eb 5,11‒ 10,39), intesa a spiegare l’enunciato di Eb 5,9-10, secondo cui Gesù: «Reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote secondo l’ordine di Melchìsedek». Dopo un preambolo esortativo (Eb 6), l’esposizione dottrinale è impegnata a rileggere la vicenda di Gesù alla luce della dinamica della mediazione sacerdotale nell’esperienza di Israele: essa prevedeva una struttura “ascendente” di progressiva separazione rituale del sacerdote, una struttura “centrale” che corrispondeva all’ingresso del sacerdote, una volta all’anno nel Santo dei Santi ‒ la parte più interna e sacra del Tempio ‒ per offrire preghiere e sacrifici in nome di tutto il popolo, e una struttura “discendente”, nella quale il sacerdote riportava perdono e benedizione da parte di Dio al popolo. In questo modo Israele aveva garantito l’accesso alla relazione con Dio. In realtà l’autore della Lettera agli Ebrei anticipa la fase “centrale” in Eb 7,1-28 in cui presenta Gesù, il Figlio glorificato, sacerdote «secondo l’ordine di Melkisedek», alla luce dei testi biblici di Gen 14,17-20 e del Sal 109(110),4, e chiude la sezione ribadendo la perfezione del suo sacerdozio. Questa sarà argomentata nel passaggio seguente (Eb 8,1‒9,28), nel quale l’autore “gioca” ancora una volta con un termine singolare e più volte ricorrente: il verbo «perfezionare» e il corrispondente sostantivo «perfezionamento-compimento-riempimento». In ambito biblico esso è in realtà un “termine tecnico” della consacrazione sacerdotale, utilizzato per la traduzione dell’ebraico “riempire le mani” ‒ quelle di colui che veniva consacrato sacerdote ‒ con le carni degli animali per il sacrificio. Nessuna carne altrui “perfeziona” la consacrazione sacerdotale di Gesù, bensì la sua offerta personale, esistenziale e spirituale, il suo «sangue», cioè l’offerta della sua stessa vita, fa di Lui la «tenda perfetta» (9,11) attraverso la quale i credenti possono accedere al mistero di Dio e lo rende mediatore di una alleanza nuova. L’efficacia salvifica della sua passione e morte come azione sacerdotale ‒ corrispondente alla fase “discendente” della dinamica sacerdotale ‒ è sviluppata in Eb 10,1-18, a cui segue una esortazione conclusiva (Eb 10,19-39) in ordine ad una vita cristiana generosa.

Seguono altri due passaggi già segnalati: Eb 11,1‒12,13 che indica la fede, elogiata innanzitutto nei grandi personaggi della storia della salvezza, e la perseveranza, quali sentieri per unirsi a Gesù e l’esortazione alla santità e alla pace di Eb 12,14‒13,21.

Certo forse non è così immediatamente familiare oggi per noi una così articolata argomentazione relativa alla “legittimazione” del compimento-perfezionamento della vocazione sacerdotale di Gesù, ma a lettura ultimata possiamo forse riconoscere anche in noi un profondo senso di incoraggiamento, di fiducia, di gratitudine e stupore che germina dalla consapevolezza di sapere che un uomo, esattamente un uomo come ciascuno di noi, è definitivamente come “innestato” nel mistero di Dio e che «può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore» (Eb 7,25)! Un uomo come noi che “fa il tifo” per noi presso Dio! L’anelito a conoscere il volto di Dio, ad entrare in comunione con Lui non è un’illusione del cuore umano, ma la destinazione di ciascuno… e in Gesù, sacerdote “speciale”, abbiamo «piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne, e poiché abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero» (Eb 10,19-22)! Non occorrono più atti rituali di progressiva separazione del sacerdote, anzi l’umanità del Figlio condivisa con ciascuno di noi è la via sicura per conoscere il mistero dell’amore di Dio, a cui possiamo “abbandonarci pienamente”, certi di essere esauditi (cfr. Eb 5,7).

“Esporre” la nostra umanità a quella di Gesù, perché se ne lasci configurare anche attraverso la lettura della Scrittura, non è forse quello che pagina dopo pagina possiamo chiedere lungo il nostro percorso di Lettura insieme del Nuovo Testamento?

Buona lettura,

sr Anna

 

Prossime tappe: sabato 29 luglio dovremmo concludere la Lettera agli Ebrei, per passare poi alla Lettera di Giacomo, da leggere entro giovedì 3 agosto.