Perseverare, fino a quando?

Si vive con fatica in queste settimane, fase uno o fase due che sia, perché si capisce che i tempi saranno ancora lunghi. Salta all’occhio la parola “perseveranza”, la stessa che un giorno usò Gesù: “Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita“. Contesto evangelico diverso: eppure questa parola, un po’ fuori moda, può essere recuperata oggi.

Si avverte che, pur tenendosi ad un appiglio, centimetro per centimetro si scivola in giù; certo non si sprofonda, ma neppure si è fermi o si sta salendo. Questo movimento anche se lieve, sta preoccupando; della serie: “Ma riuscirò, ce la farò a resistere e a non imbruttirmi?“.

Ciò che scrivo lo vivo, perché non sono marziano e non sono immune da questo pericolo, pur essendo fortunato nel passare dalla casa alla chiesa e potendo celebrare l’Eucarestia ogni giorno. Ma così (mi viene detto) è in molte case dove la tenuta psicologica, spirituale e fisica sta risultando difficile.

Provo a ripensare alle esuberanti energie che si sono sviluppate all’inizio della epidemia, ripenso a quello che si diceva, si cantava o si disegnava con i colori dell’arcobaleno. Ora questo è più sfumato ed è allora che si avverte il bisogno della virtù della perseveranza, dono da chiedere a colui che è rimasto fermo nella decisione di andare a Gerusalemme perché tutto fosse portato a compimento.

Non bisogna vergognarsi della propria debolezza nel vedere che si sta scivolando all’indietro. Le ore passano, sì, ma in modo disordinato; la sera arriva con una fatica diversa da prima; il giorno inizia in un modo differente. Non c’è più il sostegno psicologico collettivo e anche i video che girano per sorridere cominciano a scarseggiare o a non essere più umoristici.

E se dovessimo sostenerci nella perseveranza? Sto riprendendo il testo dell’Apocalisse nella sua bellezza, pur nella difficoltà di entrare nelle ricche immagini. Lì si parla molto di perseveranza, in un contesto di persecuzione diverso dal nostro. Eppure, perseverare mi sembra parola che venga dall’alto e che quindi va tenuta in caldo.

Momento da vivere quindi con il Signore, con quel Figlio che mai poteva staccarsi dal Padre, nonostante tutte le contrarietà del suo tempo. Ritorna la frase che si dice spesso e può essere utile proprio ora: “Non bisogna parlare di Dio ma parlare con Dio“, mettendo le nostre proteste in un dialogo stretto e sostenuto.

Interessante l’espressione di san Efrem il Siro: “Ciò che non hai potuto ricevere subito a causa della tua debolezza, ricevilo in altri momenti con la tua perseveranza“. E così, se rimaniamo “avvinti” a questo appiglio divino, uniti ad una Chiesa che persevera (perché anche la Chiesa è chiamata a perseverare!), forse anche la sensazione di scivolare o di perdere centimetri rimane, certamente, ma forse… come sensazione.

don Norberto