Da qualche giorno si torna a parlare della tragedia della Val di Stava. Era quarant’anni fa. Mi trovavo nella parrocchia di san Pietro in Sala, a Milano e anche quella comunità fu colpita per la morte di Stefano, ragazzo di 11 anni che perse la vita e il cui corpo non è stato più ritrovato. Quell’anno avrebbe iniziato la prima media. In quella triste vicenda morirono molte persone di Milano, anche perché vennero coinvolte due case vacanze delle ACLI milanesi.
Stefano, in vacanza con la mamma e altri due fratelli più grandi e non occupato a studiare, quel giorno scese a Tesero in macchina con una amica di famiglia. Nel tragitto due bacini di decantazione dell’acqua franarono, portando una marea di fango che travolse tutto, uccise 268 persone, distruggendo case, strade e vegetazione.
Quando passo da quelle parti mi fermo nel silenzio del cimitero davanti all’evocativo monumento con i nomi delle persone, sostando su quello di Stefano Savino con riporta la sola cifra della nascita: 1974. Due anni fai mi incamminai per quella strada rifatta, salendo la montagna per poi fermarmi nel toccante museo del paese.
Ricordo il momento in cui, nella cappella della chiesa, ci trovammo con i genitori e i due fratelli, senza parole. La famiglia era conosciuta in parrocchia e attiva in oratorio. Ricordo la messa celebrata senza nulla, se non il semplice richiamo alla sua persona, con una comunità che si stringeva loro attorno.
Tengo caro il necrologio pubblicato dal Corriere della Sera dove si scriveva che “Stefano era rimasto a giocare sui prati della Val di Stava”.
Dopo quarant’anni farò particolare memoria, sabato 19 luglio, di Stefano e della sua famiglia, di tutte le vittime e dei loro cari, nella preghiera a Dio e nel silenzio. Nella gloria di Dio tutto il fango della sofferenze viene lavato e pulito perché su “pascoli erbosi mi fa riposare e ad acque tranquille mi conduce”. Un carezza.
Don Norberto
