«La roccia della nostra stabilità»
Cari tutti,
stiamo affrontando la lettura delle due lettere che la tradizione attribuisce all’apostolo Pietro. Su questa attribuzione gli esegeti discutono; tendenzialmente se ne riconosce la plausibilità per la prima, più contrastata lo è quella della seconda. Ma tant’è, si tratta di due testi antichi e densi, meritevoli di essere letti con attenzione.
La Prima lettera di Pietro è scritta da Roma (indicata simbolicamente come “Babilonia” [1Pt 5,13], la città empia per antonomasia, la città dell’esilio) e indirizzata ai cristiani della “diaspora”, più specificamente a quelli dell’Asia minore. Lo scopo della lettera è di dare forza e coraggio a discepoli di Gesù vessati da angherie e persecuzioni non meglio definite, ma che si percepiscono ripetute. I discepoli di Gesù si sentono stranieri tra le genti perché sono stranieri in questo mondo: vivono in modo diverso. Per questo siamo presi di mira, dice l’apostolo.
Non è chiaro se si tratti di persecuzioni violente e pubbliche (come quelle che, sotto Nerone, avrebbero condotto al martirio lo stesso Pietro, nel 64 o 67) o non piuttosto di vessazioni private, malevolenze suscitate dalla condotta di vita dei cristiani, così diversa da quella dei pagani con cui convivono.
La Seconda lettera di Pietro mette i discepoli in guardia dai falsi dottori (2Pt 2) e cerca di rispondere all’inquietudine che li attraversa a motivo del ritardo della parusia, del ritorno glorioso del Signore Gesù (2Pt 3). Lo fa, tra l’altro, richiamando la memoria di quel giorno lontano in cui, sul monte in Galilea, Gesù permise a lui e Giacomo e Giovanni (non citati nel testo) di essere tra i «testimoni oculari della sua grandezza» e di ascoltare la voce «discendere dal cielo» (2Pt 1,16.18).
In tempo di persecuzione, dice Pietro, si tratta di stare stretti al Maestro. Siamo un unico tempio: stiamo stretti alla pietra angolare, che Dio stesso ha posto in Israele. «Si legge infatti nella Scrittura: Ecco io pongo in Sion / una pietra angolare, scelta, preziosa / e chi crede in essa non resterà confuso» (1Pt 2,6). Quella pietra che i costruttori, le autorità di Israele, avevano scartato, con un giudizio iniquo e letale nei confronti di Gesù, e che poi Dio ha posto a fondamento della creazione nuova, ora – dice Pietro – è il principio della nostra stabilità.
Il tempo del dolore, dice in uno dei suoi scritti Clive Staples Lewis, teologo inglese del secolo scorso, si distende con l’ampiezza e la mollezza immonda di una palude mefitica e sfiancante. Cerchi terreno solido e non lo trovi. Ma la gioia di chi prega è come «il piacere di chi ha trovato la stabilità; come quello provato camminando, quando ci si ritrova sotto i piedi un terreno solido dopo che una falsa scorciatoia ci ha a lungo trattenuto in campi fangosi».
Ecco, dice Pietro, Gesù è la roccia della nostra stabilità. Per quanto difficile sia il cammino tra le angherie di chi ci vuole male a motivo della nostra fede, nella preghiera troviamo il modo di aggrapparci a Colui che rende piano il nostro sentiero e solido il nostro passo.
Per quanto sia duro, il cammino della fede merita di essere affrontato.
Nel lungo avventuroso cammino, il Signore ci accompagni.
don Paolo Alliata
Prossime tappe: domani, 11 agosto, dovremmo terminare la Seconda lettera di Pietro, per passare poi alle tre lettere di Giovanni; entro mercoledì 16 agosto la Prima lettera di Giovanni e nei giorni successivi le altre due, molto brevi, composte di un unico capitolo.