Terza domenica dopo il Martirio di san Giovanni il Precursore
“Che Chiesa unita sia e Chiesa unita fu”!
Se fossimo al primo capitolo della Genesi, così ci esprimeremmo! Ma la comunione dei credenti non è come la creazione del sole o della luce perché c’è di mezzo la libertà delle persone e quella condizione di attaccamento al male che ci rovina. Può succedere qualcosa di nuovo nella linea della unità solo, solo, se agisce Gesù risorto mentre noi lasciamo che si realizzi questa fraternità, agendo con cura: piccola opera la nostra ma essenziale anche perché… tutto è garantito dal comandamento nuovo.
Ecco tratti della lettera del vescovo nel 2° capitolo che continueremo a proporre.
«SIANO UNA SOLA COSA» – LA CHIESA UNITA
1. Resi partecipi della comunione trinitaria per il dono dello Spirito Santo
La preghiera di Gesù invoca dal Padre che i discepoli siano una cosa sola, entrando nella comunione trinitaria: «Perché tutti siano una cosa sola; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato».
La missione di Gesù si compie nell’edificare la comunità dei discepoli, come profezia del Regno. La grazia di questa edificazione è offerta nel mistero celebrato: coloro che condividono lo stesso pane, il corpo di Cristo, diventano un solo corpo. La liturgia ci insegna a pregare: «Ti preghiamo umilmente: per la comunione al Corpo e al Sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo». La vocazione alla comunione è riproposta nei diversi aspetti durante i tempi dell’anno liturgico.
Coloro che offrono alla comunità il servizio della preparazione e dell’animazione liturgica possono valorizzare questa grazia di comunione. Coloro che prendono parte alle celebrazioni della comunità cristiana sono chiamati a verificare quali frutti ne vengano per la loro vita personale e comunitaria: possiamo celebrare il mistero che ci dona la grazia di partecipare alla comunione trinitaria ed essere divisi, scontenti gli uni degli altri, invidiosi, risentiti?
Nel mistero dell’Incarnazione risplende la gloria del Verbo: «I miei occhi hanno visto la tua salvezza». Nel mistero della Pasqua l’invito alla conversione predispone ad accogliere il dono dello Spirito che produce frutti di comunione e contrasta con le «opere della carne». Nel tempo dopo Pentecoste, le parole che orientano la missione dei discepoli offrono uno sguardo nuovo sull’umanità. Il mistero rivelato in Cristo è «che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa […] promessa per mezzo del Vangelo»
La Chiesa dalle genti non è solo il mistero nascosto alle precedenti generazioni, ma è la grazia e l’impegno di questo nostro tempo, di questa nostra terra per offrire un aiuto a tutti gli uomini a credere e a sperare.
Dalla preghiera di Gesù impariamo a pregare: il capitolo 17 di Giovanni può aiutarci a farlo in unione con Cristo. Noi non sappiamo neppure che cosa domandare. Ma lo Spirito intercede per noi, perché le nostre preghiere non siano solo parole ma una pratica della libertà che si lascia plasmare dallo Spirito. Intercedono per noi i nostri santi, perché noi viviamo nella comunione dei santi. Celebreremo, a Dio piacendo, la beatificazione di Armida Barelli e di don Mario Ciceri.
2. La reciprocità della comunione
Gesù introduce i discorsi di quell’ultima sera e l’insistenza per il suo comandamento con un gesto sconcertante e illuminante sullo stile e le opere che rendono quotidiana la comunione per cui prega. Spiega la lavanda dei piedi come un modello di comportamento dentro la comunità dei discepoli: «Anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri». Non si tratta solo di una prestazione di servizio, ma di una forma del rapporto in cui si può adempiere il comandamento nuovo di Gesù: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri».
L’insistenza di Gesù sulla reciprocità suggerisce percorsi da esplorare e criteri di valutazione preziosi sulla vita delle comunità. Le diverse accezioni del termine “amore” offrono una ricchezza di contenuti e di proposte di riflessioni e di vita che meritano di essere meditate e praticate . L’amore che si dona gratuitamente senza considerare risultati e risposte è una delle forme più alte di dedizione. Per certe sensibilità questo amore gratuito è la manifestazione dell’amore di Dio, di cui la creatura è resa capace per grazia.
Nel Vangelo secondo Giovanni l’amore non è certo offerto calcolando la risposta: raggiunge il frutto più desiderabile quando non si riduce a un servizio per l’altro, ma suscita nell’altro la capacità e la disponibilità ad amare, rende amici, impegna in una dedizione reciproca. Non solo amare, ma anche lasciarsi amare, non solo lavare i piedi, ma lasciarsi lavare i piedi.
La reciprocità come forma matura dell’amore è la vocazione di ogni uomo e di ogni donna. La differenza di genere è la differenza originaria che permette di praticare nella forma più alta e promettente la relazione comandata dal comandamento nuovo: gli uni gli altri. Il tema della relazione tra uomo e donna, tra uomini e donne nella Chiesa Enella società è un tema di inesauribile profondità e di drammatica attualità.
La reciprocità come forma matura dell’amore è l’esperienza di ogni vera amicizia. Nella storia della santità cristiana il tema dell’amicizia come grazia che aiuta a diventare migliori e a dare gloria a Dio in una vita santa occupa un posto significativo. Nella vita di molti l’amicizia è un’esperienza di incoraggiamento reciproco, di confronto edificante, di esplorazione coraggiosa di percorsi di missione. Gesù ha mandato i suoi discepoli non come singoli eroi, ma a due a due, come fratelli. In epoca contemporanea la nozione di amicizia si è in parte inquinata in forme di complicità, di strumentalizzazione, di ambiguità. I discepoli di Gesù, che hanno sperimentato l’amicizia con lui, sono chiamati a vivere e a testimoniare la grazia, la responsabilità, la coltivazione di rapporti come contesti propizi per portare a compimento la vocazione alla santità.
3. La coralità della comunione
L’“essere una cosa sola” che Gesù chiede al Padre e ai discepoli deve assumere una forma storica, quindi determinata dalle relazioni, dallo spazio e dal tempo. Le relazioni sono tra le persone, con la loro storia, con lo stato di vita di ciascuno, con i doni che ognuno ha ricevuto dal Signore. La legge riassunta da Gesù nel comandamento nuovo deve essere ispirazione costante e criterio imprescindibile di verifica per ogni persona e comunità. Molti testi della Scrittura descrivono le virtù necessarie, lo stile che deve essere abituale tra le persone nella comunità cristiana. Il rimando all’“inno alla carità” di Paolo può essere molto significativo. In modo particolare può essere utile che la descrizione dei tratti della carità offerta da Paolo sia letta con il commento che papa Francesco offre in Amoris Laetitia (cfr. nn. 89-119).
Tutti i talenti, tutte le qualità delle persone, tutte le esperienze di aggregazione di laici e di consacrati si possono chiamare carismi o vocazioni nella misura in cui edificano la comunione con il tratto della coralità, che comporta la stima vicendevole, la disponibilità a collaborare nel costruire percorsi e a dare vita a iniziative per il bene di tutti. In questa coralità di vocazioni il riferimento alla Diocesi, in comunione con tutta la Chiesa, è un criterio di autenticità.
Non siamo ingenui: le tentazioni di protagonismo, di rivalità, di invidia, di scarsa stima vicendevole sono sempre presenti e seducenti. Ci sono stati tempi di confronti aspri, di polemiche e divisioni anche nella nostra Chiesa. La preghiera di Gesù che chiede al Padre la grazia dell’unità sia la nostra preghiera e decida la disponibilità di tutti. In questo esercizio, per certi versi inedito di comunione, di “pluriformità nell’unità” possiamo essere aiutati da quella singolare forma di scuola cristiana che è l’ecumenismo di popolo a cui siamo chiamati in questi anni.
Giornata del Seminario: la parola ancora al Vescovo
1. L’appello.
Rivolgo un appello non per reclutare personale. In effetti nessuno può dire quanti preti siano necessari perché sia offerta oggi, qui, la testimonianza della resurrezione di Gesù. L’appello è invece perché escano dall’anonimato, dal gruppo dei discepoli qualsiasi, coloro che sono chiamati a prendersi la responsabilità della testimonianza. L’appello non è una promessa di sistemazione, di prestigio, di vita facile. Piuttosto è una sorta di candidatura al martirio, a essere voce di un messaggio che potrebbe incontrare indifferenza, disprezzo, ostilità. E tuttavia vale la pena di presentarsi perché il nome sia scritto nel libro della vita, tra i nomi dei testimoni della resurrezione come successo per la chiamata di Mattia.
2. La responsabilità della comunità.
Invito a riconoscere che le nostre comunità stentano ad esser propositive, a compiere un discernimento, a proporre candidati per il ministero. Le comunità si aspettano che ci siano preti per accompagnare la vita, le iniziative, il servizio secondo il Vangelo. Si immaginano però che le “vocazioni” siano l’esito di un desiderio che in modo imprevedibile “sorge nel cuore” di un ragazzo, adolescente, giovane e lo convince all’autocandidatura da sottoporre al discernimento della Chiesa. L’enfasi che si pone sul desiderio di ciascuno coglie certo un aspetto molto vero. Si espone anche al rischio di configurare la figura del prete secondo le aspettative di ciascuno, piuttosto che secondo le esigenze del Vangelo e della comunità cristiana. Invito pertanto tutte le comunità e, in esse, i preti e coloro che accompagnano personalmente i giovani a interrogarsi sulla responsabilità di proporre la via verso il ministero ordinato a coloro che ritengono adatti. Nella mia esperienza ho constatato che la proposta fa pensare e talora sveglia nel giovane interpellato una intuizione rimossa, una prospettiva accantonata, un desiderio represso per tante ragioni ambientali, familiari. Lo Spirito opera anche attraverso le proposte sagge e le provocazioni personali.
3. Una giornata per la gratitudine, per la preghiera, per la generosità.
La Giornata per il Seminario è anzitutto il momento adatto per dire grazie. La Giornata per il Seminario è l’invito a pregare, in questa giornata e in molte occasioni durante l’anno, perché nelle nostre comunità ci siano parole di incoraggiamento e di proposta per ragazzi, adolescenti, giovani perché si sentano interpellati: “Cerchiamo persone che possano essere testimoni della resurrezione, possiamo contare su di te?”. La semplicità, la franchezza, la discrezione della proposta non costringe nessuno. Ma chi prega molto, con sincerità e libertà, può trovare le occasioni opportune e le parole adatte per rivolgere un invito e – chi sa? – accendere una luce. La Giornata per il Seminario è anche l’occasione per sostenere il Seminario Diocesano con generosa partecipazione alle sue spese e alle sue esigenze economiche.
In venti saremo a Lourdes dal 21 al 24 settembre con il Vescovo Delpini… qui molto citato! La preghiera per tutti.