Alcide De Gasperi

Mentre ricorre il 70esimo anniversario della morte di Alcide De Gasperi, mi sono imbattuto in un articolo apparso su Avvenire domenica 17 agosto. Riprendo questo passaggio perché lo statista altoatesino superava la semplicistica domanda del referendum che chiedeva: “Volete la Monarchia o la Repubblica?”.
Così Ernesto Maria Ruffini scrive:
È la primavera del 1946, il fascismo è caduto, l’Italia è in macerie ma libera e adesso si tratta di scegliere: monarchia o repubblica? In un comizio a Roma, alla Basilica di Massenzio, De Gasperi sostiene che «la domanda è posta male, troppo semplicisticamente». A suo avviso, «la domanda vera è questa: volete instaurare la Repubblica, cioè, vi sentite capaci di assumere su voi, popolo italiano, tutta la responsabilità, tutto il maggior sacrificio, tutta la maggiore partecipazione che esige un regime, il quale fa dipendere tutto, anche il Capo dello Stato dalla vostra personale decisione, espressa con la scheda elettorale? ».

Una risposta positiva significava per De Gasperi un «impegno solenne, definitivo per voi e per i vostri figli di essere più preoccupati della cosa pubblica di quello che non siete stati finora, […] d’aver consapevolezza che essa è cosa vostra e solo vostra, di dedicarvi ore quotidiane di interessamento e di lavoro».

Conosciamo l’esito di quel referendum, ma quell’interrogativo posto da De Gasperi è valido ancora oggi. Perché anche se siamo formalmente cittadini, non vuol dire che non ci si possa comportare da sudditi. Quando volgiamo la testa dall’altra parte fingendo di non vedere; quando incrociamo le braccia, lasciando che le cose vadano come vanno; quando ci lasciamo trascinare dalla corrente, senza provare a fare la nostra parte; quando addebitiamo la responsabilità di quello che non va a qualcun altro, a chi ha responsabilità pubbliche, ma senza sentirci in alcun modo responsabili della nostra fetta di comunità, di Paese.
I sudditi possono fare spallucce e rimanere a braccia conserte dando la responsabilità al monarca, ma i cittadini non hanno questo alibi. Siamo tutti responsabili di quello che non ci piace nella nostra società.

Non conoscevo questo passaggio che ha un impatto moderno nella scelta di essere cittadini o sudditi di un Capo o di un potere politico arroccato nel Palazzo. Lo stesso potrebbe valere per la vita dello Spirito, dove l’appartenenza alla comunità cristiana chiede un “senso ecclesiale partecipativo” (oggi si direbbe “sinodale”), rispetto ad un individualismo religioso. Una piccola occasione di riflessione…estiva.
Don Norberto