Seconda domenica di Quaresima – della Samaritana
Mentre sono a Roma
Questo numero esce ovviamente… prima della mia partenza per Roma con una ventina di persone, piccola rappresentanza cittadina al pellegrinaggio diocesano guidato dal Vescovo Mario che, con circa tremila persone, passeranno la porta santa nella capitale. Come se fossi già là, questo scritto vuole essere un tentativo di immaginare, dando a me poi di verificare (nel prossimo numero) se tutto si è avverato.
Qui a Roma mi sento pellegrino e non solo turista, dal momento che la capitale (come per molti) l’ho già visitata nelle sue fondamentali attrazioni. Essere pellegrini è una forma nuova segnalata dal legame con il Signore e dalla vicinanza di fratelli e sorelle di fede. Non è detto che poi non torni a Roma, da solo, per un momento personale legato al fatto che arrivo al quarantacinquesimo anno di ordinazione sacerdotale. Da pellegrino porto sulle spalle uno zaino leggero, pieno di ciò che la vita mi ha offerto. Un immaginario zaino riempito di luoghi e persone conosciute, ricco di confidenze avute e di affetto percepito. Leggero perché non vi è nulla di materiale, ma soprattutto quella parte che ha fatto il buon Dio liberandomi da peccati, errori, sbandate, o da quell’eterno abbaglio del mondo ecclesiastico di “credere di fare a nome di Dio, ma senza di Lui”.
Il ricordo di queste scelte sbagliate rimane ed è quello che mi viene in mente anche qui a Roma dove preparo pezzi di fogli “accartocciati” da tenere in tasca e che poi metterò nel sacco del pattume nella chiesa di Segrate. Dopo avere iniziato il giubileo con persone delle tre parrocchie andando a Cernusco sul Naviglio, cerco di fare anch’io quello che indico a tutti. Sì parlava allora di “accartocciare il peccato”. Guarda caso proprio domenica scorsa così diceva san Paolo: “Mi sottopongo a dura disciplina e cerco di dominarmi per non essere squalificato proprio io che ho predicato agli altri”.
Sono qui a Roma come pellegrino tra i pellegrini di una Chiesa diocesana che vede altri preti con il vescovo compiere gesti “ecclesiali”. Mentre cammino per passare la porta santa, sento e credo che l’essere pellegrini ci segni più di ogni altra qualifica mondana o ecclesiastica: che sia parroco, addirittura “prevosto” (una volta era un segno onorifico!), vescovo, monsignore o cameriere di sua santità (titolo di altri tempi!). Essere pellegrino dice quello che si è come persona, mi fa sentire uno tra i tanti ma riempito di una Grazia che mi è stata data e con cui sono legato. Ecco perché tra il salire e scendere dal pullman non sono turista ma pellegrino venuto a Roma nel quinto anno santo della sua vita.
Mi ha sempre affascinato andare su sentieri da trekking e in particolare sul cammino di Santiago proprio 20 anni fa. Era l’aprile del 2005 quando da solo mi muovevo tra ricordi, lacrime ed emozioni. Era l’anno in cui moriva Giovanni Paolo II e da solo vissi quel distacco, mentre vedevo, da immagini televisive, la massa di persone venute a rendere omaggio al Papa polacco. Poi il conclave, la fumata bianca che vidi uscire dal famoso camino mentre passavo in un bar di Ponferrada. Attesi lì (in un bar, sic!) la nomina del card. Ratzinger con il nome di Benedetto XVI. Sappiamo che camminare è sempre di più del semplice mettere un piede davanti all’altro.
Qui a Roma mi trovo “obbligato” a riprendere la parola “speranza”, termine che sto distinguendo da quello che comunemente si intende e che, nella forma dialettale, suona con “sperèm”. Se cammino nella fede è perché la speranza l’ho ricevuta. Si dice anche che sia una virtù teologale e che quindi appartenga a Dio. Tra una celebrazione e l’altra non mi viene da approfondire più di tanto: lo farò al ritorno, durante i prossimi mesi. Essendo in rapporto con il Signore, riconosciuto anche presente nel peccato (martedì mi sono confessato in duomo in un momento penitenziale previsto per i preti, con provvidenziali lacrime) di cosa dovrò temere per il futuro, se pieno della beata speranza?
In queste strade sento poi la voce dei martiri antichi a partire da Pietro e Paolo ma anche dei martiri nelle foibe e nei campi di stermino. Sento la presenza di coloro che sono entrati in atroci sofferenze ma appoggiati sul legno della croce che Dio aveva predisposto, affinché non si cadesse nel fango dell’odio e della disperazione. Sento la voce di coloro che hanno subito, i perdenti della storia ma che ora sono dove è Lui, perché così si dice nel vangelo: “Padre voglio che siano anche loro dove sono io…”.
Sento di non essere qui a titolo personale e quindi mi porto il nome delle parrocchie con cui ho avuto un legame, da quello dove ho vissuto da bambino (il battesimo una volta si faceva in ospedale), a quello dei miei genitori dove ritrovo le radici quando passo nei due cimiteri. Altre sono le comunità a cui ho dato un po’ di premura e che mi rimangono nel cuore.
Mentre entro per la porta santa di san Pietro, prima di accedere alla Messa della domenica, sento che lì è il mio futuro: passare attraverso Lui, sempre, e così trovare il Padre, immergermi in un amore che mi lega a coloro che già sono nella liturgia celeste. Celebro con altri preti, vestiti con il camice e la stola viola, preti con cui talvolta fatico a vivere la fraternità sacerdotale. La basilica vaticana non riesce a contenere la Gerusalemme celeste e allora mi sembra più giusto immaginare il contrario (in questo articolo scritto prima) e cioè di noi che siamo nella grande basilica celeste dove il posto è per tutti dal momento che non ci sono pareti, l’acustica è perfetta, il canto di una armonia che impressiona, la luce in colori ineguagliabili. Ora sono sulla via del ritorno… che coincide con la fine di questo articolo.
Pellegrino prete
Quelli che non sopportano più di essere infelici
Vale la pena riprendere l’omelia, concisa e originale del vescovo Mario fatta la scorsa domenica in duomo.
1. Quelli che abitano nel “Paese infelice”
Ci sono quelli che si accontentano nella loro infelicità, se ci sono momenti di sollievo e di distrazione per dimenticare, almeno per un po’, la condizione da cui non si può uscire. Ci sono quelli che si arrabbiano per la loro infelicità: danno la colpa a questo e a quello. Sono arrabbiati con tutti e passano la vita a seminare tensione. Rendono la vita difficile a sé e agli altri. Ci sono quelli che si deprimono per la loro infelicità, sono tristi e rassegnati. Non amano la loro vita e la subiscono come un destino incomprensibile. Si domandano se valga la pena essere vivi.
2. Quelli che cercano niente di meno che la felicità
Ma da qualche parte ci sono anche quelli che non sopportano più di essere infelici e si mettono in cammino per esplorare il mondo e cercare il Paese della gioia o almeno il mercato dove si può comprare un po’ di gioia. È come una traversata nel deserto. E lungo il cammino incontrano un’oasi piena di fascino che porta l’insegna, ripresa da un vecchio film, “locanda della felicità”. Allora pieni di entusiasmo si dicono: “Finalmente! Abbiamo trovato!”. Entrano e in ogni angolo della locanda vedono gente allegra e una quantità impressionante di vini, di pani, di prelibatezze. Tutte le asprezze del deserto sembrano trasformate in una sazietà. Ne godono fino ad esserne soddisfatti. E molti decidono di fermarsi: “Ecco la felicità: avere! godere! Disporre di tutto quanto può soddisfare la fame e saziare il corpo e rendere allegra l’anima”. Alcuni però erano del tutto insoddisfatti e rifiutarono di fermarsi, dichiarando: “Non di solo pane vive l’uomo”.
Continuarono quindi la loro ricerca finché giunsero nel villaggio che si chiama Gloria. Furono accolti come eroi, elogiati come gente nobile, applauditi per l’impresa: ecco quelli che hanno attraversato il deserto. Ecco gente che merita riconoscimenti e premi. Alcuni dei cercatori di felicità ne furono entusiasti e decisero di fermarsi: “Ecco la felicità: essere riconosciuti, apprezzati, applauditi. Percorrere le strade del paese ed essere accolti dalla simpatia e da quelli che ti chiedono sempre una foto ricordo”. Alcuni però erano del tutto insoddisfatti e rifiutarono di fermarsi, dichiarando: “È persino fastidioso e anche un po’ stupido essere applauditi e ricercati per una foto e un autografo”.
Continuarono quindi la loro ricerca finché giunsero al palazzo del gran re. Furono accolti con tutti gli onori e il gran re in persona li accolse nella sala del trono per ricevere l’omaggio richiesto dal protocollo. E il gran re non nascose la sua ammirazione e come tutti i gran re non fu insensibile agli omaggi e agli inchini degli stranieri. Perciò propose loro di diventare suoi sudditi per assumere il governo di una provincia o di una città, di un esercito o di un ministero. Alcuni dei cercatori di felicità ne furono entusiasti e accettarono d’essere sudditi e di diventare potenti. “Ecco che cos’è la felicità: essere amici dei potenti e diventare potenti”.
3. Quei pochi, ancora pellegrini di speranza
Rimasero pochi, a quanto pare, a rifiutare di fermarsi. Ma questi pochi se ne andarono dal palazzo del gran re, dichiarando: “È umiliante diventare potenti in balia di chi è più potente, governare gli altri accettando che sia un altro a governare noi stessi”.
Questi pochi spiriti liberi non si rassegnarono a tornarsene indietro nel Paese dell’infelicità e proseguirono il cammino nel deserto. Verso dove? Non lo sapevano neppure loro, ma si fidarono di quella intuizione che era per loro come una annunciazione e una promessa: c’è un regno felice. Sono ancora in cammino: sono pellegrini di speranza. Non sanno se la meta sia vicina o sia lontana, ma continuano il cammino: si fanno coraggio gli uni gli altri, ricordandosi a vicenda della annunciazione e della promessa. Non sanno descrivere in che cosa consista la felicità che cercano, ma raccolgono indizi, smascherano inganni, respingono tentazioni e sperimentano che già il cammino è un anticipo di felicità: corrono, ma non come chi è senza meta, piuttosto come fossero guidati dagli angeli, come fossero spinti da un vento amico, come fossero attratti dalla promessa affidabile.
4. La Quaresima, la risposta alla promessa della felicità
La Quaresima è questa intuizione: che la promessa di Dio di renderci felici si compie a Pasqua. Perciò iniziamo il cammino con la gratitudine di essere chiamati, con la determinazione a respingere le tentazioni e a smascherare il diavolo, con la gioia che già è anticipata nella speranza.
Avvisi
Sul canale YouTube della parrocchia di Santo Stefano
Sono visibili gli interventi di don Luca Castiglioni in occasione degli esercizi spirituali del 26-28 febbraio 2025
Lunedì 24 marzo, alle ore 21 – giornata dei martiri cristiani
Via Crucis dalla chiesa del Crocifisso di Lavanderie alla chiesa di Milano2